l lavoro, i giovani, i salari bassi, Trump, i dazi, la guerra, i russi e i cinesi, l’ossessione delle armi, la necropolitica, le fusioni bancarie e papa Leone XIV. Un progetto per aiutare le aziende ad assumere giovani e donne mettendo a disposizione dieci miliardi di finanziamenti agevolati. Seduto nel suo ufficio milanese, Carlo Messina, consigliere delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo, appena eletto banchiere europeo dell’anno dalla stampa finanziaria tedesca, risponde per un’ora alle domande de La Stampa. Un viaggio nel mondo in bilico. «Davvero dobbiamo temere che 150 milioni di russi possano invadere l’Europa, dove vivono 450 milioni di persone?».
“Lavoriamo per dare un’altra agenda alle priorità politiche. Non possiamo avere come unico tema di dibattito pubblico l’incremento degli investimenti nella Difesa”
Dottor Messina, lei non è preoccupato?
L’evoluzione di quanto sta accadendo in Ucraina da oltre tre anni riguarda tutti noi. Allo stesso tempo vedo altre emergenze.
Quali?
I giovani, la povertà. Argomenti che dovrebbero essere centrali sia per i governi europei, sia per le grandi aziende. Temi che toccano tutti noi e che richiedono un impegno collettivo. Lavoriamo per dare un’altra agenda alle priorità politiche. Non possiamo avere come unico tema di dibattito pubblico l’incremento degli investimenti nella Difesa.
Più facile dirlo da Milano che da Helsinki.
Capisco il problema visto da Helsinki, con centinaia di chilometri di confine con la Russia. Come Europa dobbiamo porci il tema di un sistema di difesa integrato da rafforzare, dobbiamo tenere conto del minor impegno militare annunciato dagli Stati Uniti nei confronti della Nato. Ma allo stesso tempo l’Europa deve darsi un grande piano di investimenti comuni nel campo della tecnologia, dell’energia, delle infrastrutture. Solo così potrà assicurarsi un ruolo nelle sfide del mondo globale.
Qual è il nostro nemico numero uno?
Non mi riferisco a nemici, osservo che il nostro è un mondo in cui si confrontano due grandi potenze economiche: Stati Uniti e Cina. È questo lo scenario imprescindibile per noi europei.
L’operato del governo Meloni è positivo
Il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis, in un’intervista a questo giornale ha fatto capire due cose. La prima: l’Italia sta trattando bene i suoi conti.
Ha ragione. Lo dicono i numeri e io lo vedo tutti i giorni confrontandomi con gli investitori internazionali. L’operato del governo guidato da Giorgia Meloni, con Giancarlo Giorgetti all’Economia, è positivo. Ora serve accelerare gli investimenti per portare la crescita del Pil al 2%.
Ci torniamo. La seconda: il tesoretto che risparmia (circa 4 miliardi) Roma potrebbe destinarlo alla Difesa.
Se davvero i conti pubblici dovessero presentarsi meglio del previsto, ci si dovrebbe concentrare su crescita, occupazione, riduzione delle disuguaglianze. In Italia ci sono sei milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. E dieci milioni di persone che non possono permettersi di affrontare un imprevisto in famiglia da 500 euro. Ma gli imprevisti, anche molto più costosi di cinquecento euro, capitano a chiunque. Penso che dovremmo ripartire da qui.
Diventerà l’idolo dei pacifisti.
Non voglio diventare l’idolo di nessuno. Cerco di guardare le cose con un po’ di buonsenso. Dobbiamo riequilibrare la Difesa considerate le scelte degli Stati Uniti? Benissimo.
Ma?
«In Italia abbiamo industrie militari e tecnologiche di livello assoluto, a cominciare da Leonardo e Fincantieri. Se gli investimenti vengono fatti in ricerca, intelligenza artificiale, sistemi difensivi adeguati ai tempi, ad esempio per intercettare il lancio di missili ipersonici o l’attacco di droni è un conto. Se invece vogliamo solo riconvertire vecchie fabbriche per costruire armi convenzionali, allora siamo fuori strada. Facciamo però attenzione a non alimentare i sovranismi.
Mi sfugge.
Come spiegare a persone che non arrivano alla fine del mese che la priorità è investire in Difesa? Quando la vita di tutti i giorni si confronta con la dignità del lavoro, la possibilità di crescere una famiglia, la tutela dell’occupazione femminile. Vanno date risposte reali a problemi concreti, quotidiani e visibili. In Intesa Sanpaolo abbiamo un programma di contrasto alla povertà e alle disuguaglianze con un impegno di 1,5 miliardi.
Trump ha saputo parlare ai “forgotten man”
Trump ha vinto così?
Trump ha saputo parlare al “forgotten man”. Ma non è stato il solo. È un grande tema per tutte le democrazie confrontarsi con un mondo post globalizzazione.
La ministra Marina Calderone, sempre in una intervista a La Stampa, ha detto che bisognerebbe legare di più i salari alla produttività.
Ho letto.
Sembra scettico.
Per carità. Le teorie economiche sono giustissime, perfette, però a mio avviso i livelli retributivi dovrebbero aumentare quando le aziende fanno più utili. Oggi anche chi guadagna duemila euro al mese fa parte di quei working poor che non sono in grado di assorbire un imprevisto in casa. In Intesa Sanpaolo abbiamo alzato gli stipendi per oltre 400 euro al mese, sulla base del principio “se facciamo più utili è giusto ridistribuirli alle persone che lavorano in banca”. Naturalmente garantendo i dividendi agli azionisti.
Sembra un mondo che non esiste.
Esiste. Da noi, per esempio. E sono davvero molte le aziende che fanno utili importanti; si possono tutelare gli interessi di chi investe e di chi lavora.
Salario minimo? Contrario agli slogan
Non sarebbe più semplice pronunciare le parole “salario minimo”?
Sono contrario agli slogan. Non facciamo del salario minimo un totem. Concentriamoci sul capitale umano. Giovani, donne, over 50, salari bassi. Questo ci deve interessare. Lo dico consapevolmente: con centomila dipendenti – di cui settantamila in Italia – siamo il primo datore di lavoro privato del Paese. Per chi guida un’azienda proteggere i lavoratori è una priorità.
Più facile a dirsi.
Possibile anche a farsi.
Come?
«Stiamo lavorando per portare dieci miliardi di finanziamenti agevolati alle aziende che assumono giovani e donne, con una logica simile all’Ires premiale. Il governo usa la leva fiscale, noi i tassi agevolati. In particolare, guardiamo alle aziende che investono in nuove tecnologie e creano nuovi posti di lavoro. Siamo convinti che si possano associare aumento della competitività, della produttività e nuova occupazione. Portare giovani in azienda può rappresentare un nuovo motore di crescita per il Paese».
I giovani vanno all’estero. I migranti non li vogliamo.
Se pensiamo ai nostri giovani, credo sia assolutamente necessario recuperare i Neet. Un milione e mezzo di ragazzi e ragazze che non studiano e che non lavorano. Impegnarsi per fare in modo che tornino allo studio o che cerchino un posto di lavoro, può diventare un ulteriore importante motore di crescita. Noi con la Fondazione Cariplo abbiamo dato vita a un progetto che si muove in questa direzione. Così come abbiamo progetti importanti rivolti ai giovani insieme con la Compagnia di San Paolo. E sullo stesso tema siamo impegnati con le altre Fondazioni azioniste.
Per i dipendenti pubblici valgono le stesse considerazioni fatte per il privato?
È un settore con cui ho meno dimestichezza, ma penso che alcuni principi possano essere analoghi. Ridurre le inefficienze, tagliare le spese improduttive e scommettere sulla qualità di chi lavora con te. Vale sempre.
Spending review, non c’è mai riuscito nessuno.
Ci sono molti modi. Da tempo sostengo che è possibile trasformare gli immobili pubblici in titoli da collocare. I privati chiedono investimenti con rendimenti sicuri. Con lo spread così basso è il momento di cogliere l’occasione. E qui aggiungo un punto su cui rischio di sembrare sovversivo.
Magnifica premessa.
C’è moltissimo capitale privato italiano all’estero. Circa duecento miliardi. Dobbiamo trovare un modo per riportarlo a casa. Per investirlo qui. La Svizzera, per esempio, è piena di investimenti italiani. È impensabile che in questa fase gli investitori se ne vadano dall’Italia. Il nostro Paese è stabile e credibile. La capacità di tenere il risparmio all’interno del proprio Paese è un elemento di sicurezza nazionale. Esattamente come le terre rare, la space economy, i fondali marini e e l’energia. Lo ha teorizzato anche Larry Fink sul Financial Times.
Resto al risparmio citando il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta: «Sulle fusioni bancarie decide il mercato». La politica sta esagerando con le ingerenze?
Credo che quelle del governatore siano considerazioni corrette. È il mercato che crea valore. Il punto imprescindibile è che in ogni fusione bancaria decidono gli azionisti, che sono i proprietari dell’azienda. Ma non possono essere gli unici interlocutori.
Chi sono gli altri?
Le persone che lavorano in azienda, come noi sappiamo bene. Se non crei valore per loro, nessun progetto di crescita è sostenibile, neppure attraverso le fusioni, E anche i clienti devono avere un vantaggio. Poi, deve avere un ruolo anche il sistema-Paese. Le autorità competenti devono considerare ognuno di questi elementi. Non ci può stupire se il governo fa le proprie valutazioni: il risparmio è un tema di sicurezza nazionale ancor più di difesa ed energia, perché rispetto a questi rappresenta la leva attivabile per assicurare l’indipendenza del nostro Paese.
Il Golden Power va usato in modo corretto, Papa Leone XIV è una figura eccezionale
E qui torniamo al controverso Golden Power.
«È uno strumento che va usato in modo corretto. Tutto è migliorabile, ma mi sembra di capire che gli elementi di maggiore conflittualità stiano risolvendosi. Cosa che io mi auguravo fin dall’inizio. I soggetti rilevanti di questo Paese non possono vivere in uno stato di conflittualità permanente.
Le piace Papa Leone XIV?
Molto. Anzi, moltissimo. Una figura che considero eccezionale. Il Conclave, fatto di liturgie non comprensibili da un profano, ha sorpreso il mondo anche questa volta.
Il primo discorso del Papa è stato sull’intelligenza artificiale. Sorpreso?
No. E poi io amo Sant’Agostino, è una figura di riferimento importante per me. Dobbiamo parlare dell’intelligenza artificiale, sapendo che deve sempre essere un mezzo e mai un fine. Noi la stiamo applicando in azienda. E stiamo creando nuovi mestieri. L’IA deve essere utilizzata al servizio dell’uomo, che deve essere sempre la priorità.
Che effetto le fanno le immagini che arrivano da Gaza?
Terribile. Siamo di fronte a un problema davvero complesso. Quello che è successo il 7 ottobre è incancellabile. Una reazione era prevedibile. Ma oggi è difficile non condividere le parole del Presidente Mattarella: quello che sta accadendo è disumano. Ma tutto questo non deve ingenerare antisemitismo. Anche in Italia.
Gli Stati Uniti sono affidabili
Dottor Messina, gli Stati Uniti sono ancora affidabili?
Assolutamente sì.
Le credo sulla parola.
È un Paese che avrà sempre potenzialità enormi. Occorre che pongano attenzione ai riflessi che possono essere innescati sul debito pubblico da una mancanza di fiducia.
Dazi e Trump. L’Europa è nei guai o ha una nuova opportunità?
In una fase di calo di interesse nei confronti del dollaro, l’Europa può diventare un porto sicuro per gli investitori internazionali. Per questo dobbiamo puntare sugli Eurobond: ci vuole un’economia europea più forte se vogliamo reggere il confronto con Usa e Cina. Tutto questo non cambia il fatto che gli Stati Uniti restano un punto di riferimento fondamentale per noi europei.
Lei va a votare al referendum?
Preferisco non entrare in logiche di carattere politico. In generale penso che in un mondo in cui si parla sempre più di intelligenza artificiale, la tutela del lavoro sia un grande tema.
Chiuda gli occhi. Dazi, Gaza, Ucraina. Come vede il mondo tra un anno.
È impossibile non soffrire per la distruzione inutile e costante di vite umane, a partire da quelle dei bambini. Quanto ai dazi, le previsioni di crescita globale sono passate dal 3,5% al 2,9%: il segno è comunque positivo. Se guardo ai prossimi 12 mesi voglio essere ottimista: un mondo dove non ci siano più conflitti e che continua a crescere.
Andrea Malaguti, La Stampa