Carlo Messina: “Chi fa profitti aumenti gli stipendi”

Il debito pubblico? «Un dovere ridurlo. Anche con la valorizzazione e la parziale cessione dei 300 miliardi di euro di immobili pubblici. E non solo perché ce lo chiede l’Europa, ma per il bene dell’Italia». L’inflazione? «Sta scendendo, grazie alla politica monetaria e all’andamento dell’economia reale. Ma bisogna aiutare chi è in difficoltà. E aumentare gli stipendi». L’Europa? «Tra 10 anni la dobbiamo costruire più simile agli Stati Uniti e l’Italia, insieme alla Germania può essere il paese leader». Carlo Messina, classe 1962, dal 2013 è alla guida di Intesa Sanpaolo: ieri è stato ospite, a Torino, dell’ultima tappa di Alfabeto del futuro durante la quale ha dialogato con il direttore de La StampaAndrea Malaguti

Dottor Messina, l’ultimo rapporto del Censis ci dice che il lavoro non è più centrale nella vita delle persone. E che nel 2040, solo una famiglia su 4 avrà un figlio. È davvero così?
«Credo sia una visione eccessivamente pessimista. Dobbiamo investire su modelli positivi, soprattutto per i giovani. Se continuiamo a ripetere che il Paese va male e non abbiamo prospettive non costruiremo il futuro. Certo non possiamo neppure nascondere le difficoltà, dalle guerre ai posti di lavoro mancanti. Ma il nostro compito è aiutare i giovani a comprendere la realtà, senza creare false illusioni, ma mostrando loro i tanti lati positivi. Perché la prospettiva esiste, così, come il percorso che li porterà ad avere un ruolo nella società. Anche se, ammetto, l’aspetto demografico è davvero importante perché può rappresentare una debolezza futura». 

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Intanto i medici scioperano per il taglio delle pensioni. Durante il Covid erano eroi nazionali, finita l’emergenza sono stati dimenticati.
«Il nostro Paese è stato toccato duramente dalle recenti crisi. Ma nelle aziende c’è tanta ricchezze, e la priorità che abbiamo è quella di aumentare gli stipendi del lavoratori. Nel privato tocca alle imprese agire. E noi siamo la dimostrazione di come si può fare. Credo di essere stato uno dei principali artefici, insieme ai sindacati, dell’aumento di stipendio nel nuovo contratto dei bancari. Allo stesso modo serve garantire una giusta retribuzione per tutti i mestieri strategici. La sanità lo è e lo sarà sempre. Non va trascurata». 

Il taglio del cuneo fiscale non è strutturale perché avrebbe impattato sulle pensioni. Siamo dentro una trappola?
«Dire come va fatta la manovra è il nuovo sport nazionale. Un po’ come fare gli allenatori della Nazionale. Con un debito pubblico come il nostro, dobbiamo garantire stabilità e ottimizzare la spesa pubblica. Questa manovra garantisce stabilità al debito pubblico. Penso, poi, ai 300 miliardi di immobili nelle mani dello Stato: valorizzandoli e cedendoli si potrebbe ridurre il debito pubblico e questo ci darebbe ossigeno per leggi di bilancio di più ampio respiro. Per accelerare gli investimenti, invece, bisogna imparare a spendere meglio. L’importante è non farsi frenare da chi dice che le cose non si possono fare: immaginare nuove soluzioni ogni giorno è il mestiere di ognuno di noi. Anche se costa fatica farlo». 

Si possono davvero vendere gli immobili di Stato?
«Sono 10 anni che lo ripeto. E qualunque Paese normale lo avrebbe preso in considerazione per rendere più sostenibile il proprio debito». 

Intanto l’Europa ci mette più vincoli perché il nostro debito è al 144% del Pil anche per il Superbonus, mentre il Pnrr che dovrebbe essere il motore della nostra crescita non decolla.
«Non credo che sia solo il Pnrr ad aiutare la crescita. Per me è fondamentale mettere soldi in tasca alla famiglie, riducendo le tasse. Questa è una componente espansiva della manovra. E poi spesso ci dimentichiamo che, anche per il Superbonus, l’Italia è il Paese dove gli investimenti sono aumentati di più rispetto al periodo pre Covid. Così come la nostra economia: abbiamo fatto +3,3% contro il 2,2% della Francia e la crescita nulla o addirittura negativa di Germania e Spagna. Il nostro vero tema è far scendere il debito pubblico e far crescere la nostra credibilità, anche usando i fondi del Pnrr. Li abbiamo utilizzati ancora in maniera limitata: se accelereremo nel 2024, l’economia crescerà. Comunque anche il debito degli altri Paesi è cresciuto. Abbiamo alcuni punti di debolezza, ma anche tanti punti di forza». 

Quando chiediamo flessibilità all’Europa, facciamo una richiesta di buon senso o da un Paese che non ce la fa?
«Voglio essere molto netto. Non dobbiamo ridurre il debito perché ce lo chiede l’Europa o la Germania. Dobbiamo farlo per noi, per la sostenibilità dei nostri conti pubblici. Quando diciamo che vogliamo essere indipendenti dagli altri, però, dobbiamo ricordarci che 800 miliardi del nostro passivo sono sostenuti dalla Bce. Quello che deve essere certo e sostenibile è il piano di rientro». 

La Bce ha fatto bene ad alzare i tassi?
«Quello dei tassi negativi era un mondo sbagliato. È giusto, invece, che il costo del denaro oscilli tra il 2 e il 4%. Non so dire se la Bce abbia sbagliato la tempistica nell’aumentare i tassi, ma il livello attuale mi pare corretto rispetto all’inflazione, la cui riduzione mi sembra a portata di mano». 

Però per molti è esplosa la rata del mutuo e ottenere finanziamenti è diventato più difficile.
«Il 60% dei mutui è a tasso fisso. Il 30% dei variabili ha un cap e le banche sono disponibili a rimodulare costi e tassi perché nessuna ha interesse a creare insolvenze. Per le aziende il rapporto tra disponibilità di cassa e debito è al 66%, in Europa è al 90%; per le famiglie siamo al 60% contro il 90% dell’Europa. Purtroppo, però, cresce molto la povertà. E anche se il nostro Paese sta meglio di altri, bisogna intervenire a sostegno di chi è più in difficoltà». 

La tassa sugli extraprofitti ha fatto molto discutere. Come andava gestita?
«A maggio sono stato l’unico a dire che se la extra tassazione fosse stata usata contro le disguaglianze, la banca sarebbe stata a favore. Sono convinto che sia giusto soprattutto a fronte di utili che superano anche le aspettative. E per questo abbiamo lanciato un piano da 1,5 miliardi in 5 anni: sarebbe giusto che lo facessero tutte le aziende che hanno molti utili. La remunerazione degli azionisti è fondamentale, ma sono gli azionisti stessi ad apprezzare l’impegno sociale delle imprese. Senza che siano altri a chiederlo. Purtroppo si vedono poche aziende che agiscono in questo modo. Così come vanno alzati gli stipendi». 

Oltre il salario minimo?
«Sì. Noi faremo più di 7,5 miliardi di utile netto. Di fronte a una richiesta di aumento di 435 euro lordi al mese come faccio a dire no? Bisogna dimostrare alle proprie persone che ci si prende cura di loro. Sono loro che ci permettono di fare questi utili. A pazienza se gli economisti dicono che gli aumenti salariali fanno aumentare l’inflazione». 

Nel 2024 in Europa si vota. Da un lato Draghi chiede più unità; dall’altro Salvini chiama a raccolta i sovranisti.
«Se l’Europa vuole competere con la Cina e gli Stati Uniti deve avere un grande disegno. Altrimenti come Italia possiamo essere un Paese che si gioca la sua partita, ma in una dimensione limitata. Per funzionare, però, l’Ue non può essere quella di oggi prigioniera dei diritti di veto. Serve un ministro dell’economia europeo, un ministro della difesa… L’Italia da sola non può farcela, ma deve puntare a far crescere il proprio peso relativo». 

Secondo lei c’è un problema di valori condivisi?
«Io credo che i valori fondamentali siano condivisi anche se ogni paese è portatore di istanze proprie. Dobbiamo assicurarci che tutti i Paesi crescano in modo omogeneo. Se quelli che hanno il debito al 60% sono troppo rigorosi con quelli che stanno al 140% non va bene. Così come non va bene se il nostro Paese non riesce a far valere i propri punti di forza. Prima Intesa Sanpaolo era l’unica banca forte, ora a essere solido è tutto il sistema bancario». 

L’intelligenza artificiale la preoccupa?
«No. Migliorerà il lavoro, garantendo l’occupazione. L’ho promesso a tutti i dipendenti. Ho spiegato che ci saranno nuovi mestieri, ma nessuno perderà il proprio posto. Anzi, faremo in modo che vengano creati nuovi percorsi all’interno della banca. Il punto di forza delle aziende sono le persone che ci lavorano. L’innovazione deve essere vista con serenità. È un’opportunità». 

Lei è ottimista.
«Ho un track record positivo di mie previsioni che si sono avverate. Penso di essere realista. Credo nella forza della nostra banca e del Paese. Attenzione a chi si lamenta per chiedere più aiuti». 

Come immagina l’Europa e l’Italia tra 10 anni?
«Voglio immaginare una Ue che abbia costruito un percorso di unificazione simile a quello degli Stati Uniti. E in questo ambito l’Italia, se lavorerà sui suoi punti di forza potrà essere il Paese leader, insieme alla Germania».

Giuliano Balestreri, La Stampa

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