Elezioni presidenziali nelle Filippine: quali “amicizie” nel dopo Duterte?

Sace, sasso nello stagno

Il prossimo 9 maggio il popolo filippino sarà chiamato alle urne per scegliere il successore della controversa figura del presidente Rodrigo Duterte, noto alla stampa internazionale soprattutto per la campagna contro la droga portata avanti dalla sua elezione nel 2016 e che, secondo fonti ufficiali del governo, avrebbe causato la morte di oltre 6.200 sospetti trafficanti. Oltre che per le violazioni dei diritti umani, la presidenza Duterte è stata caratterizzata da una profonda svolta nella politica estera delle Filippine, allontanatasi dalla storica alleanza con gli Stati Uniti a favore di una relazione più intensa con la Cina. Dal punto di vista economico, questa nuova alleanza ha ritagliato un ruolo preponderante di Pechino nel necessario sviluppo infrastrutturale del Paese – obiettivo primario di Duterte, che dalla sua elezione ha lanciato l’ambiziosa campagna Build! Build! Build! – come testimonia il notevole incremento dei flussi di investimento cinesi, concentrati proprio nel settore infrastrutture e passati da circa $2,8 mld dell’amministrazione Aquino (2010 – 16) a quasi $13 mld di quella Duterte.

Nonostante negli ultimi mesi il governo di Manila abbia cercato un riavvicinamento con lo storico alleato occidentale, che rimane comunque uno dei principali investitori nel Paese, spinto dal crescente scetticismo popolare verso Pechino generato da un basso tasso di realizzazione degli investimenti infrastrutturali annunciati e dai sempre più frequenti sconfinamenti di imbarcazioni cinesi nelle acque territoriali delle Filippine, l’attuale corsa presidenziale si configura come una scelta tra la continuazione, o la rottura, della strategia di politica estera intrapresa da Duterte.

A pochi giorni dalle elezioni, il voto prevede infatti una corsa a due tra Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr, figlio del recente dittatore Ferdinand Marcos e sostenitore di uno stretto legame con la Cina, e l’attuale vicepresidente Leni Robredo, che invece promette un deciso cambio di rotta rispetto alla passata amministrazione, con il primo che guida i sondaggi con ampio margine nonostante la seconda abbia recuperato consensi nelle ultime settimane.

Se da una parte entrambi i candidati manterranno l’approccio di sostanziale apertura agli investitori esteri promosso da Duterte, dall’altra l’elezione di Robredo dovrebbe aprire maggiori opportunità nel Paese alle imprese del blocco occidentale, comprese quelle italiane (finora poco attive nel Paese con uno stock di investimenti pari a €740 mln nel 2020, lo 0,15% del totale investito all’estero), invertendo il trattamento di favore finora riservato alle concorrenti cinesi. Qualunque sarà il risultato del voto, il nuovo presidente avrà il compito di ridurre le barriere che finora hanno limitato l’attività degli investitori esteri nelle Filippine, che figurano al sesto posto nel 2020 per stock di investimenti in entrata tra i Paesi ASEAN, davanti solo a Myanmar, Laos, Cambogia e Brunei: oltre alla carenza di infrastrutture, le imprese estere che approcciano il Paese sono, infatti, spesso vincolate da limiti alle partecipazioni nel capitale aziendale e lamentano inefficienze del sistema legale e pratiche di corruzione diffuse all’interno della pubblica amministrazione.

di Claudio Cesaroni

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