L’ad di Amadori: «Francesca è stata licenziata perché ha smesso di lavorare a dicembre, senza dare spiegazioni»

Da inizio dicembre Francesca Amadori ha smesso di lavorare, senza dare spiegazioni. Che non sono arrivate neanche dopo la richiesta di chiarimenti da parte dell’azienda, secondo quanto previsto dalla legge e dal contratto di lavoro. A quel punto non potevamo non licenziarla. Neanche il padre ha potuto far nulla. Se non ribadire che le regole valgono per tutti, a prescindere dal cognome». Il licenziamento che ha fatto più clamore in questo inizio 2022 — quello di Francesca Amadori, nipote del fondatore Francesco e figlia di Flavio, presidente dell’omonimo gruppo agroalimentare di cui era responsabile della comunicazione — si spiega così. A fornire i chiarimenti è Francesco Berti, dal 2019 amministratore delegato (e dal 2018 direttore generale) del gruppo di Cesena noto per i suoi polli. Che, però, avrebbe di gran lunga preferito, come si usa in Romagna, risolvere la questione in maniera più informale e meno eclatante anziché in aula, avendo Francesca Amadori dichiarato che si opporrà al provvedimento ritenuto ingiusto e illegittimo. 

Il licenziamento è una cosa seria. Se la soluzione si poteva trovare in via informale, non era forse il caso di evitare l’allontanamento?
«Sappiamo benissimo che il licenziamento è una questione seria. Tanto che dal 2018 ad oggi, questo è solo il terzo caso sugli oltre 600 dipendenti della società in cui era impiegata Francesca. Ma l’azienda ha provato in ogni modo a evitare la soluzione estrema. Da inizio dicembre Francesca Amadori, che era una impiegata e non una dirigente, ha smesso di lavorare. Sia in presenza che a distanza. Senza dare spiegazioni, senza documentare le motivazioni delle sue assenze al lavoro. Quando non si rispetta il contratto nazionale di lavoro si agisce di conseguenza».

Nelle settimane precedenti c’erano stati motivi di discussioni su questioni lavorative?
«No. Del resto il suo era un ruolo esecutivo, non aveva voce nella governance aziendale». 

E screzi a livello familiare? In passato non sono mancati, sia tra i fondatori Francesco e il fratello Arnaldo, deceduto nel 2017, sia nella stessa famiglia di Francesca, con la madre Maurizia Boschetti che ha lasciato l’azienda dopo la separazione dal marito. 
«Di eventuali screzi a livello familiare non so nulla. Posso solo dire che non avrebbero giustificato un licenziamento. I motivi, come spiegato, sono altri».

E sulla vicenda è intervenuto il nonno, il fondatore Francesco che ha da poco compiuto 90 anni e che a Francesca è affettivamente molto legato?
«No. Non solo perché non avrebbe potuto fare nulla, alla stregua del padre. Ma anche perché da quando ha lasciato la guida dell’azienda, nel 2014, ne è sempre rimasto fuori. Al contrario di quel che si possa pensare, questa non è più un’impresa familiare». 

In che senso? Il presidente è Flavio Amadori, il vice presidente è il fratello Denis e molti dei loro figli lavorano in azienda. 
«Ma l’amministratore delegato è esterno alla famiglia, e io sono già il terzo dal 2014 ad oggi. Perché la volontà della seconda generazione è stata quella di trasformare l’azienda da familiare a manageriale. E ci siamo riusciti». 

Cosa glielo fa pensare? L’azienda è ancora molto identificata con lo slogan del fondatore, “parola di Francesco Amadori”. 
«I numeri e i fatti. I numeri dicono che nel 2014, quando il fondatore lasciò il gruppo, l’azienda fatturava 1,2 miliardi, con un patrimonio netto di 223 milioni, 7.182 dipendenti e investimenti pari a 171 milioni nei precedenti 4 anni; nel 2018 il fatturato diventa di 1,3 miliardi, il patrimonio netto di 271 milioni, i dipendenti 7.906 e 200 milioni gli investimenti nei precedenti 4 anni; nel 2021 si sale a 1,4 miliardi di fatturato, 295 milioni di patrimonio netto con 8.675 dipendenti e investimenti in 3 anni, di cui 2 di Covid, pari a 237 milioni. Questi i numeri, che rendono l’idea di un’azienda sana e di mercato». 

E i fatti? 
«I due fondatori del gruppo, Francesco e Arnaldo Amadori, rispettivamente titolari del 77% e del 23% delle quote, sono da tempo rappresentati dai rispettivi figli. Nello specifico stiamo parlando di 9 famiglie che detengono il 100% delle quote del gruppo Amadori. Proprio per garantire stabilità nel processo decisionale , alla fine del 2021 ne abbiamo ridefinito il sistema di funzionamento sia Flavio che Denis possiedono il 21% del capitale ma il loro 42% ha diritto di voto per il 51%. Oggi la situazione è molto più chiara che in passato, tanto più dopo aver risolto nello scorso mese di settembre vecchie cause con ex soci».

Non sarà più un’azienda familiare, ma nel gruppo lavora anche il marito di Francesca, Paolo Montagna, tra l’altro con un ruolo importante come quello di responsabile qualità. Questa situazione potrebbe creare problemi? 
«No, in alcun modo. Ognuno di noi, me compreso, è valutato sui risultati che raggiunge, non certo per la relazione coniugale». 

A proposito di risultati, anche nel vostro settore il 2021 è stato l’anno dell’incremento dei costi delle materie prime, di circa il 40%. Ci saranno ripercussioni sul prezzo d’acquisto da parte dei consumatori? 
«Noi facciamo parte di una filiera produttiva, all’interno della quale ognuno può rinunciare a un p’ di profitto: gli allevatori, i trasportatori, noi. Così riusciamo ad attutire gli effetti negativi sui consumatori finali per i quali, ad oggi, non c’è stato alcun aumento di prezzo. E speriamo non ci sia neanche in futuro, anche grazie ai 500 milioni di investimenti che abbiamo previsto per rendere i nostri stabilimenti più moderni e sostenibili, incrementare l’autogenerazione di energia, perfezionare la digitalizzazione e aumentare il benessere animale».

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Articolo di Enea Conti

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