Smartworking tra i giornalisti lombardi. Cresce l’interesse, ma solo a fronte di garanzie e tutele contrattuali

Molte difficoltà e tanti pregi. Convinzioni maturate in un contesto oggettivamente di emergenza, che ha però aperto lo sguardo su di un nuovo scenario operativo a cui non eravamo pronti, ma che potrebbe rappresentare anche un’interessante prospettiva.
È questa la sintesi che emerge dall’esperienza dello smartworking tra i giornalisti lombardi che hanno partecipato all’indagine flash condotta nella prima metà di giugno dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti e che ha visto partecipare al questionario di 26 domande 367 giornalisti.
Il quadro tracciato dall’indagine flash, se da un lato fotografa pregi e difetti dello smartworking nell’esperienza di questi ultimi 4 mesi, dall’altro conferma come la preoccupazione dei più sia rivolta alla necessità di dare una regolamentazione concreta e aderente alla realtà per questa forma di lavoro innovativa. Senza prescindere dal rapporto dipendente, ma inquadrato in un ambito di garanzie e diritti uguali a quelle di cui si gode ora. Anzi, con maggiori tutele (rispetto a quanto accaduto in questi mesi) garantite da un impegno diretto del sindacato che deve diventare protagonista di una stagione capace di preparare l’eventuale approdo strutturale dello smartworking nelle nostre organizzazioni redazionali attraverso un intervento nella contrattazione nazionale e il governo di accordi ad hoc aziendali.
“La nostra indagine flash – commenta il presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, Paolo Perucchini – mette in rilievo l’interesse che la categoria ha maturato in occasione di questa esperienza emergenziale dalla quale ha colto significativi aspetti positivi senza, per questo, perdere la consapevolezza della specificità del lavoro giornalistico che si concretizza – con il suo prodotto finale giornale, rivista o edizione che sia – quale opera dell’ingegno collettivo”.
Tutti temi che obbligano, laddove si dovesse aprire un tavolo di confronto sull’estensione dello smartworking come nuovo modello organizzativo, a una puntuale regolamentazione di molti aspetti. A partire dalla dotazione tecnologica che deve accompagnare questa forma di lavoro. Durante l’emergenza sanitaria di questi mesi, infatti, in molte realtà le aziende hanno scaricato la responsabilità della dotazione operativa (computer e connessioni) ai singoli lavoratori, chiamati a mettere a disposizione proprie infrastrutture telematiche. “Su questo aspetto il sindacato deve essere pronto ad affrontare nell’immediato il tema smartworking. Ne sono esempio le prime introduzioni di dock-station (portatili da installare su postazioni di lavoro basilari) nelle grandi redazioni che permettono di lavorare con la stessa dotazione tecnologica in redazione e fuori. Questa tipologia di strumentazione sta, di fatto, introducendo surrettiziamente le basi per dare il via pieno allo smartworking nella sua definizione corretta: al punto di poter ipotizzare allo stesso modo un layout organizzativo redazionale più ridotto (rispetto al numero dei colleghi in organico) in una sorta di “coworking” organizzato”.
L’apprezzamento sul tema smartworking apre un altro tema fondamentale per il sindacato: la conciliazione dei tempi di lavoro e della famiglia. Lo smartworking di questi mesi ha permesso, infatti, di sopperire alle carenze sociali generate dal lockdown permettendo di curare non solo figli ma anche familiari presenti in casa.
Tra gli elementi negativi dello smartworking che l’indagine flash mette in luce, spicca la dilatazione dei tempi di lavoro sia in termini di orario di impegno nel corso della giornata, sia di impegno nel corso della settimana. “In quest’ultimo caso – sottolinea il presidente ALG – spesso non esiste più distinzione tra giornate di lavoro e di riposo e, nel peggiore dei casi, anche di giornate di fermo per ammortizzatori sociale”. Temi questi che portano in evidenza il più grande rischio intrinseco esistente nel lavoro da remoto: l’assenza dei tempi di “disconnessione”.
Lo spunto che va tratto dall’indagine flash è quello che il sindacato, oggi, non deve sottrarsi al ruolo di “governo” di questa delicata fase. “Lo smartworking potrebbe essere, volenti o no, una nuova formula organizzativa del lavoro giornalistico. La regolamentazione contrattuale oggi esistente non contempla la modalità del lavoro agile. E la stessa non può essere declinata sulle tipologie contrattuali esistenti (art. 2 o art. 12). Cosi come le attuali norme sul lavoro agile non rappresentano un adeguato quadro regolamentare. Da qui – conclude Perucchini – l’impegno del sindacato per diventare punto di riferimento capace di definire in anticipo quadri di tutela per i giornalisti da applicare sia nell’ambito di future intese contrattuali – nazionali e aziendali – sia come contributo di indirizzo nel confronto con il Governo nell’ipotesi di una generale definizione di speciali legislazioni”.

Torna in alto